Sono passati quarant’ anni ma il ricordo di quell’ incredibile scudetto del 1977 è ancora vivo nel cuore dei Petrarchi e di quanti furono artefici o spettatori di quello storico evento.
Così ricordava i fatti il giornalista Antonio Liviero:
Domenica 15 maggio un’interminabile colonna d’auto battenti bandiera rossoblù si formò lungo i 40 chilometri di autostrada che collegano Rovigo a Padova. Un esodo senza precedenti nel rugby italiano. I tifosi rossoblù andavano in massa ad assistere all’ultima partita di quel campionato che vedeva il Rovigo in testa ed il Petrarca al secondo posto staccato di due punti. Erano convinti di conservare sulle maglie rossoblù lo scudetto tricolore di campioni d’ Italia che l’anno precedente avevano strappato proprio ai padovani.
Mai si sarebbero immaginati ciò che stava per succedere…
I giocatori del Petrarca dopo il pranzo alla mensa del collegio dei gesuiti, andarono come sempre a prendere le borse con le maglie e le scarpe che Fratel Fiocchi aveva accuratamente preparato e che il religioso consegnò personalmente a ciascun giocatore.
Quasi una benedizione…
Poi attraversarono a piedi Prato della Valle per recarsi allo stadio.
Lo sorpresa fu enorme. «E quisti dove vai ?» esclamò Simone Brevigliero vedendo quel brulicare di gente attorno al vecchio tempio del calcio. I bulloni dei giocatori rimbombarono nel silenzio del corridoio che porta al terreno di gioco ma appena i capitani si affacciarono lo stadio tuonò. Un muro di folla formato da oltre 18.000 persone si presentò ai loro occhi. Quelle tribune non erano mai state così piene dai tempi di Nereo Rocco… «Tutta quella gente ci mise paura» ricorda Angelo Visentin. Per alleggerire la tensione Brevigliero eseguì alcune delle sue solite “scarioltole”, come lui e quelli del suo paese d’origine , San Martino di Venezze, chiamavano le capriole. I tifosi del Rovigo le presero per uno sberleffo, ma l’affronto vero l’avrebbero subito qualche attimo dopo. Sul calcio d’inizio capitan Baraldi arpionò la palla al volo e la mise a terra a disposizione del pack che si lanciò in una percussione devastante. Un boato si levò dall’Appiani. Era un segno premonitore. In panchina l’ allenatore Marcello Fronda si fregò le mani: “Questa è musica, oggi non ce n’è per nessuno ! ” disse.
Così fu .
Piovan, con Busnardo e Presutti demolì la prima linea del Rovigo. Il Petrarca travolse la Sanson 21-9 raggiungendola in testa alla classifica del campionato. «Siamo stati uccisi nei primi minuti – raccontò il pilone del Rovigo Niger Barion – perchè ci siamo resi conto subito della loro superiorità in mischia». Negli spogliatoi tutti i rodigini riconobbero i meriti degli avversari. A cominciare da Saby: «Faccio i complimenti al Petrarca». Elio De Anna se la prese con la battuta di Giordano Campice, figura storica e dirigente del Rovigo: «Troppo ottimismo, bisognerebbe chiedere spiegazioni a chi ha detto che sarebbe stata più probabile una nevicata a ferragosto di una vittoria del Petrarca»…
Si andò a Udine il 22 maggio, per un drammatico spareggio in un altro stadio del calcio. La questione tattica era una sola: come fermare la mischia del Petrarca. La reazione del Rovigo ci fu, sia sul piano psicologico che del combattimento. Ne uscì una partita equilibratissima, di fronte a oltre ottomila spettatori, il cui esito venne affidato alle bizze del vento che soffiò per l’intera partita, agli errori e alla fortuna… Proprio la Fortuna però quel pomeriggio non stava dalla parte del Rovigo. Al 26’ un piazzato di Salvan venne deviato dal vento sulla traversa. Al 53’ Pogutz convalidò una meta irregolare di Dino De Anna e sette minuti dopo non ne fu concessa una a Rossi sospinto dai compagni oltre la linea. Poco dopo ancora Rossi lanciato, e ormai solo, all’ala perse una scarpa e fu ripreso. Thomas sbagliò tutti i piazzati (0 su 7) alcuni anche da sotto i pali, e alla fine ci si mise anche la grandine ad ostacolare la rimonta della Sanson. Come non bastasse un fulmine uccise un tifoso rossoblù mentre usciva dallo stadio.
Anche il Petrarca però ebbe le sue sfortune: Pardiès si infortunò alla caviglia dopo 7 minuti e rimase in campo con una gamba sola, al 72’ un piazzato di Lazzarini finì sul palo e il diciassettenne Emilio Ragazzi, schierato al centro, si lasciò sfuggire in avanti la palla della partita. Una palla talmente scivolosa che sarebbe potuta sfuggire a chiunque. Ma Ragazzi non la pensò così.
“In quel momento decisi che avrei cambiato città, forse Paese. A Padova certo non mi avrebbero più rivisto – ha confessato Emilio –mi salvarono i compagni di squadra. Simone, Bocca, Lelio mi rincuorarono e mi dissero: non preoccuparti, ne facciamo subito un’altra di meta! Fu una lezione di vita”.
Lo spareggio di Udine fu giocato alla pari. E il punto di differenza nel risultato finale (10-9) è l’indice più evidente di quell’equilibrio. L’assegnazione del titolo a pari merito sarebbe stata perfetta. E la cosa più bella e straordinaria fu che nel dopo partita il Petrarca lo riconobbe.
“Non è giusto che le cose debbano avere una fine per forza: a noi lo scudetto e loro niente…” disse Lelio Lazzarini. E Memo Geremia, simbolo del primo filotto di scudetti bianconeri: “Ho avuto anch’io il sospetto che la meta di De Anna fosse viziata da una fallo. Il risultato è uno solo: si sono affrontate due grandi squadre, una meglio dell’altra. Peccato che lo scudetto non si possa dividere in due”.
Sulla corriera che riportava mestamente a Rovigo c’era un silenzio irreale e un senso di smarrimento. Affioravano i rimpianti per la partita buttata a Reggio Calabria. Per rendere meno opprimenti quei momenti Barion tirò fuori il suo mazzo di carte e propose una briscola ai compagni. Saby si mise a gridare: “Ma cosa fate! Non è questo il momento! D’ora in poi dovete pensare solo a come batterli la prossima volta”.