Nella notte del 30 agosto Giorgio Pasqualetti il Vate(r), come amava definirsi lui stesso, uno dei più grandi Petrarchi ci ha lasciati. Con lo spirito di chi in gioventù ha praticato il rugby come fosse una religione, con dedizione, passione e tanto amore sempre si vedeva Giorgio sugli spalti del Memo Geremia alla Guizza in occasione delle partite del Petrarca, col suo passo ormai un po’ incerto, ma sempre acceso da quella passione per il rugby e per il Petrarca che lo animava tanti, tanti anni fa…
Ci piace ricordarlo con le parole da lui dedicate ai ricordi rugbistici della sua gioventù.
GOCCE DI RICORDI
Ottobre 2014
Un martedì qualunque di una qualunque giornata semi-assolata prima che arrivino i grigiori autunnali anticipando la stagione del freddo.
Mi trovo a passeggiare in Prato della Valle, il grande prato senza erba ricco di statue che con il caffè senza porte, il Santo senza nome e, aggiungerei, l’ Università fra le più quotate d’Italia, costituiscono una delle caratteristiche storiche della nostra bella città di Padova.
Padova é un vero polo culturale che attira, per la sua componente storico-monumentale-culturale e la sua conformazione, una massa di visitatori sia italiani che stranieri.
Mentre mi soffermo su queste preliminari note di cronaca nel frattempo sono comunque sempre esattamente ancora in Prato della Valle, di fronte al grande e austero cancello grigio che porta i numeri civici 56–57 e che introduce all’ex “Tre Pini”, ora terreno in fase di mutamento ma da sempre appartenuto al Collegio Universitario Antonianum padovano. Oltrepasso in silenzio la soglia e mi trovo in un luogo per me oggi quasi irriconoscibile, visti i lavori che internamente si stanno facendo. Dei tre pini di allora, cioè degli alberi enormi e affusolati che hanno dato il nome al luogo dove tutto parlava di rugby, di palla ovale, di campionati disputati con grande animosità, del Petrarca ai vertici della classifica del Campionato e di tanto altro, ne sono rimasti solamente due. Testimoni di un’epoca, di un passato che ormai esiste solo nei ricordi di qualcuno di buona memoria.
Uno dei tre pini è “scomparso” lasciando soli i suoi due “fratelli” a fare ombra.
La Compagnia di Gesù dell’Antonianum (cioè i Padri Gesuiti) ha sempre avuto grande cura e rispetto di quelle bellissime piante, che quasi vegliavano dall’alto il campo da gioco (chiamato, appunto, Tre Pini) del Petrarca Rugby dei tempi eroici. Proprio lì, sotto l’ombra rassicurante di quei pini ha preso vita quello sport, il rugby, che tanto ha dato a Padova e forse non altrettanto ha ricevuto dalla città.
Ricordo ancora i nomi di alcuni di quei padri gesuiti di allora che animavano il collegio Antonianum, l’enorme edificio a due passi dal Santo, frequentato nei decenni da generazioni di studenti universitari. Mi tornano alla memoria alcuni di quei padri gesuiti: Messori, Galante, Babolin, Bressan, Casella, Pretto… Oltre agli universitari seguivano anche noi che praticavamo il nobile sport del rugby dispensando consigli spirituali e formativi. Una presenza discreta, ma autorevole e rassicurante…, come i tre pini del campo da gioco…
Accanto ai padri Gesuiti, un personaggio umile e tutt’altro che cattedratico, come invece parecchi di loro. Lavoratore indefesso di grande utilità per noi rugbysti era invece il caro e compianto Fratel Fiocchi che, con la sua fida collaboratrice signora Regina, si occupava delle nostre maglie da gioco, dei pantaloncini e dei calzettoni, tutto di colore nero-nero o bianco-nero come lo era e lo è ancora la divisa ufficiale degli atleti petrarchini. A Fratel Fiocchi al quale, per ringraziamento di tanta silenziosa dedizione a tutti noi, ho personalmente dedicato tempo addietro un brevissimo componimento poetico, si adoperava anche e soprattutto per risistemare le nostre scarpe da gioco sostituendo, se del caso, i bollini (tacchettini) mancanti o logorati dal terreno di gioco.
Attraversato il grande cancello del Tre Pini, mi sono guardato attorno quasi smarrito cercando con lo sguardo di ritrovare più avanti il locale delle docce, la recinzione del campo, le tribune e, di fronte a queste, la corta scalinata a gradoni che consentiva una visione più ravvicinata delle partite che così si potevano godere a soli pochi metri dal campo di gioco. Una visione, si può ben dire, più partecipativa, quasi olfattiva… Sudore e sinfcamina…
Credetemi! I ricordi sono ricordi ma quel rivivere a distanza di tempo cose godute in gioventù, mi ha appiccicato in gola un nodo che chiamerei il “nodo del passato”. Per limiti fisico-atletici (forse!) militavo allora nella squadra delle riserve, ma ero ugualmente orgoglioso e fiero di indossare la maglia petrarchina, sia pur rimanendo spesso in panchina. In campo ci andavano quelli più forti e preparati, ma non importava poi tanto. Eravamo tutti una squadra. Forse, se mi ci mettessi di impegno, sarei in grado anche oggi di elencare dettagliatamente la formazione originale della squadra titolare di allora, panchinari compresi, ma mi limiterò ad alcuni giocatori per non pesare sulla pazienza dei lettori: Lando Cosi, Gastone e Vasco Nicolao, Fausto Varotto, Toni Zmarich (il canterino). E poi ancora Piccotti, Palminteri, Santini, il grande Luigi Luise (per tutti Ciano) con relativi fratelli e via via ricordando… Spero non me ne vorranno quelli che qui non ho citato ma anche loro sono qui nel mio cuore come tutti gli altri.
Ed ora proprio a Ciano Luise vorrei dedicare un brevissimo cenno perchè da poco questo grande uomo e grande campione nello sport e nella vita, ci ha lasciati per proseguire il suo “viaggio di solo andata”. Entrando al Tre Pini mi è giunto alla mente il ricordo di Ciano quando collezionavamo di corsa centinaia di giri di campo in allenamento discutendo della prossima partita e di nuove tattiche di gioco. Ciano è stato uno dei più quotati rugbysti padovani che ha valorosamente militato nella nazionale azzurra dell’epoca dando il suo validissimo contributo per far sventolare alta la bandiera italiana. Ma Ciano non c’è più e per un vecchio petrachino come me è una mancanza grande e dolorosa. Mi fermo qui.
La scuola dei Gesuiti, il gioco del rugby e le sue regole, la disciplina e i valori di questo sport ha contribuito in tutti noi giocatori a temprare il nostro spirito e a plasmare quel gruppo di ragazzi per trasformarli in uomini maturi e consapevoli (oggi, ahimè, molto anziani). Speriamo di essere stati degni di tali maestri e quindi in grado di essere da riferimento per le successive generazioni di rugbysti petrarchini.
Caro, vecchio Tre Pini che ormai quasi non esisti più. Ho rivissuto in quegli attimi, proprio lì dentro e guardando l’ex campo da gioco, i ricordi sportivi della mia vita e non solo sportivi.
Rimango ancora in un silenzio quasi contemplativo e poi lentamente mi avvio al grande cancello grigio per riprendere la mia passeggiata in Prato della Valle.
Il nodo in gola piano piano si scioglie, liberando nuovamente le corde vocali che fremevano per intonare un grido di incitamento: ”Forza! Forza Petrarca!”
Spero di avervi presentato il ricordo dei tempi di allora attraverso le emozioni di oggi a distanza di tanti anni. Chi scrive questo articolo ha calciato, placcato, schiacciato il pallone in area di meta, ha calcato il campo da gioco ed ha contribuito (poco o tanto) a far più grande il Petrarca. Queste riflessioni, ve l’ assicuro, sono per me fonte di grande emozione. Che mi piacerebbe essere riuscito a condividere con voi.
Giorgio Pasqualetti
alias il Vate(r)